La Rubrica di Rudy
Cari appassionati mi presento: mi chiamo Rudy Sandi e sarò la voce narrante che cercherà, da queste pagine, di raccontarvi qualche piccola, piccolissima storia sulla grande, grandissima cultura enoica valdostana.
Questa pagina, nata su forte impulso del Presidente del consorzio Stefano Di Francesco, vuole contribuire a rendervi consapevoli di quanto le terre alte dei vino valdostano abbiano saputo esprimere una propria autonoma, singolare e lunghissima storia vitivinicola. Molti si chiederanno: storia vitivinicola? In Valle d’Aosta? Suppongo che molti di voi lettori nemmanco siano al corrente dell’esistenza di vino valdostano e siano arrivati qui, incuriositi, proprio per capirne di più di questa stranezza…
Non preoccupatevi…siete in buona compagnia…Dell’esistenza di questa singolare civiltà vitivinicola pochi, purtroppo, sono quelli informati mentre ancora troppi sono quelli “disinformati” che disinformano. Ancora recentemente un prestigioso periodico a tiratura nazionale chiosava più o meno cosi: “gli effetti del climate change: vigne in Valle d’Aosta e olivi in Piemonte” come se la viticoltura in Valle d’Aosta fosse un’acquisizione solo recente, piuttosto inaspettata e decisamente fortuita… Tanti «enoscettici» pensano che il mondo del vino valdostano non abbia storia, che sia, per sua natura, privo di passato e che, pertanto, la produzione enologica locale risalga, nel migliore dei casi, al tardo novecento senza permettere al vino valdostano nemmeno il lusso di fregiarsi di bottiglie con un minimo di storia, di passato, bottiglie “millesimate” od anche solo minimamente considerabili antiche o “d’annata”.
Inauguro questo mio piccolo spazio editoriale proprio da quest’ultimo assunto dedicando affettuosamente ai tanti «enoscettici» una piccola, didattica ed esemplificativa lista di bottiglie di antiche annate, una «vintage chart» come la chiamano gli inglesi, che li ricreda sull’effettiva presenza di un passato enologico in Vallée e sia utile a «convertirli» alla santa causa del grande vino valdostano. Le annate che vi proporrò, cari amici, saranno, ovviamente, quelle dei secoli che hanno preceduto quel tardo novecento considerato, da troppi, il primissimo «vagito» della giovane viticoltura valdostana.
Inizierei questa piccola «vintage chart» dei millesimati valdostani e delle relative citazioni bibliografiche, dedicando, a chi tra voi lettori è più dubbioso, la grande annata del 1377 che, raccontano antiche cronache enoiche, “vide una produzione eccezionale”.
Salto giusto qualche secolo per arrivare ad un altro grande millesimo, il 1616, che passò alla storia non solo perché, in Valle d’Aosta, “la récolte avait été abondante (1)” ma perché era tanto buona che il governatore del vicino Vallese Svizzero si scomodò a scrivere ai governanti valdostani “pour les prier de laisser passer les habitants de Praborno, Zermatt, qui voulaient acheter du vin du pays d’Aoste (2)”. Dovete sapere che, già all’epoca, il vino valdostano era considerato un nettare di gran razza e gli appassionati, soprattutto nord europei, erano disposti, oltre a valicare le alpi per venire ad acquistarlo, anche a pagare cifre importanti. A tal proposito vi citerei il millesimo 1639 che vide un’annata siccitosa capace di concentrare le uve in maniera eccezionalmente qualitativa tanto che “le vin, qui se vendait jusqu'alors 10 a 12 livres la charge, fut vendu 64 livres (3)”.
Medesimo viscerale interessamento degli appassionati di vino d’oltralpe per i nettari valdostani riguardò l’eccellente millesimo 1711 per cui il governo valdostano “demanda au Duc [N.d.R.:al casato Savoia] la permission d'en vendre aux valaisans (4)». Cosa dire, poi, del “mitologico” millesimo 1767? In carteggio intercorso nel 1774 tra il Barone francese Aimé Vignet des Etoles, all’epoca sovraintendente dei Savoia in Valle d’Aosta, ed il Marchese de Brandis, “majordome et intendant general de la maison du roi (5)”, a proposito di una grossa commessa di Muscat valdostano del 1767 (120 bottiglie) richiesta dal re Vittorio Amedeo III di Savoia, il Vignet des Etoles rende noto il valore di una bottiglia di Borgogna di qualità sul mercato valdostano: “les bonnes bouteilles de Bourgogne se vendent ici six sols et demi (6)”. Sei soldi e e mezzo per una bottiglia di vino erano un’assoluta follia considerato che lo stipendio annuale di un agricoltore qualificato era di un soldo. Occorre però evidenziare come, all’epoca, il vin fin de Bourgogne allignasse, esattamente come ai nostri giorni, tra le assolute eccellenze enoiche mondiali svettando per finezza e complessità; caratteristiche che lo rendono particolarmente vocato ad essere comparato con il meglio della produzione enoica valdostana. In un’ulteriore lettera, indirizzata sempre al De Brandis, il Vignet des Etoles ci introduce all’eccezionale controvalore del muscat valdostano: “Plusieurs particuliers dans tout le duché en ont fait …mais de petites quantités par la difficulté d’avoir des endroits propres a tenir à l’abri pendant deux mois sur la paille ce raisin qui y flétrit et dont on doit enlever les graines pourries et séchés avant que de le presser et pour le conserver ensuite cinq à six ans ce qui en fait monter le prix du bon à 28 ou 30 sols la bouteille (7)”. Un buon Muscat valdostano del millesimo 1767 era, pertanto, quasi cinque volte più costoso dei celebrati crus borgognoni sovvertendo completamente tutti i cliché sull’irraggiungibile valore dei migliori vini d’oltralpe e sullo scarso valore del vino valdostano. Il raffronto ci restituisce, anzi, un’immagine del vino valdostano che ribalta le prospettive alle quali siamo oggi abituati: i nettari valdostani erano, all’epoca, la massima espressione di una civiltà enoica la cui eccellenza era celebrata e ricercata (le 120 bottiglie comprate dal monarca sabaudo parlano da sole). Non poteva trattarsi di vinelli di importanza e tradizione secondarie poiché a tali vini non era permesso allignare sulle tavole reali, considerato che l’immagine e le differenze di classe erano, all’epoca, concetti imprescindibili per una grande monarchia.
Circa 100 anni dopo dopo il livello qualitativo seppe mantenersi all’altezza delle aspettative dei facoltosi clienti: le vendemmie del 1807 sono ricordate per « précocité et abondance de récoltes (8)». L’anno del Signore 1811 celebrò il miglior millesimo del secolo, paragonabile al 1767, tanto che gli esperti dell’epoca coniarono, per commemorare questo nettare valdostano, un nome a lui dedicato: «le vin de la comète (9)». Questo celebrato millesimo (che non ho purtroppo avuto il piacere di assaggiare malgrado la mia avanzata età) fu così chiamato per il benefico passaggio, sulle vigne valdostane, di una stella cometa: “l'année de la comète une température douce et parfois chaude s'annonça dès le mois de février, puis elle se conserva ainsi très longtemps. Cette année mémorable fut marquée par l'excellence des qualités du vin, dont la récolte fut très précoce. On parla longtemps du vin de la comète (10)”. L’influsso benefico della cometa sui vigneti locali dovette protrarsi ancora a lungo se pensiamo che il 1822 fu un’annata precocissima per i nostri vini: «point d'hiver, température toujours douce - amandiers fleuris en février sur la colline d'Aoste, récoltes abondantes. Le curé de Valpelline a noté dans un manuscrit que le 27 juillet, on a bu a table du vin Prié, récolté a Valpelline cette année (11)». Anche il 1848, riportavano i cronisti appassionati di vino dell’epoca, si confermò una “année excellente (12)”. Ancora qualche anno dopo, nel 1853, la situazione favorevole perdurava con vendemmie celebrate per «précocité et abondance de récoltes (13)». Il concetto di «abondance (14)» sembrò esaltarsi eccezionalmente nel millesimo1858 quando il volume delle vendemmie quasi si triplicò rispetto alla già ricca annata precedente: « Nous nous sommes trompés en disant que cette année est le double de celle de l’année dernière: nous devions dire qu’elle est presque le triple (15)». Il concetto di “annata del secolo” raggiunse un secodo apice con l’arrivo dell’annata 1865, forse persino più celebrata del già grandissimo millesimo 1811. Questa grande année fu finemente tratteggiata da un appassionato enofilo inglese di passaggio in Vallée: “La valle d'Aosta non ricorda da un pezzo una vendemmia come quella di quest'anno…i vini poi che portano la data del 1865 faranno la delizia di tutti i conoscitori di Europa per più di una generazione, e non ebbero ancora rivali nei precedenti raccolti, sia per la qualità che per la quantità. La gioia dei contadini a questo inusitato splendore della natura ha qualcosa in sé di contagioso. Per tutto quel tempo fummo in un continuo stato di delizia, or meravigliandoci dei frutti…che sono più numerosi delle foglie, ora sorridendo ai ragazzi che ci passavano a lato coi cesti pieni e colla faccia imbrattata di mosto rosseggiante... Passeggiare su questa terra e non essere felice per tutto il viaggio, sarebbe impossibile anche all'uomo più attristato di questo mondo!”.
Dopo cotanta solenne ubriacatura di grandi annate i superlativi dovevano essere già stati tutti spesi considerato che il seppur buono 1873 venne derubricato con un laconico «qualité satisfaisante (16)». Il 1880 fu invece telegraficamente ricordato dai cronisti dell’epoca per la “qualité généralement bonne dans tout l'arrondissement (17)».
In questo scorcio di fine ottocento la viticoltura locale venne, purtroppo, assalita da tremendi patogeni giunti da oltremare come oidio, peronospora e fillossera che l’avrebbero ferita quasi a morte. Si deve a questi patogeni, oltre ad altre problematiche di cui vi parlero nel prossimo articolo, la quasi scomparsa del vino valdostano dalle tavole degli italiani e dei nord europei ed il conseguente calo di consapevolezza sulle sue caratteristiche, A questo momento di vuoto commerciale, ma anche informativo, si deve l’insorgere dei tanti clichés sul vino valdotano arrivati purtroppo fino a noi.
Rimase comunque, anche in questo tremendo periodo di crisi, il tempo per un 1883 di “qualité' généralement bonne d'autant meilleure que la vendange a été plus retardée le temps ayant été très favorable au perfectionnement du raisin pendant la seconde moitie de la première quinzaine d'octobre (18)». Un anno dopo la vendemmia 1884 ci viene ricordata come capace di produrre “vin de grand bouquet” per poi essere seguita, due anni dopo, da un 1885 in cui « la vendange est, pour la quantité, au dessus de la moyenne… les raisins grossirent merveilleusement et arrivèrent remplis de jus a l’époque des vendanges qui dépassèrent toute espérance. Le vin est assez coloré (19)». Anche nel millesimo 1886 le vendemmie si mantennero “très satisfaisantes tant sous le rapport de la quantité que sous celui de la qualité (20)”. Il trend qualitativo continuerà malgrado l’attacco frontale di queste nuove malattie con un 1888 di “qualité bonne, meilleure qu’on osait espérer avec la peronospora. Pour ce qui est de la quantité c’est a marquer en noir sur le carnet du vigneron (21)”. Il tremendo calo produttivo dovuto a queste autentiche piaghe d’Egitto non sembrò comunque inficiare la qualità a giudicare dai resoconti del millesimo 1889: “qualité du vin supérieure de beaucoup à celle du dernier quinquennium, mais malheureusement la quantité est immensément inferieure (22)”. Da lì a qualche anno comparirà la tremenda fillossera, seguita da due guerre mondiali a quasi distruggere duemila anni di storia viticola in Valle d’Aosta.
Cosa ne dite? Siete ancora proprio proprio così sicuri che il vino valdostano non abbia neanche un briciolo di passato? Non sentitevi in colpa…i cliché sulla nostra piccola grande vitivinicoltura sono decisamente duri a morire. Malgrado innumerevoli, come avete letto e avrete modo di leggere nei miei futuri articoli, siano state le testimonianze bibliografiche delle peculiarità e della qualità della produzione enoica valdostana attraverso i secoli, permane ancora diffusa la singolare propensione dei media italiani a stravolgere, caricaturandoli, i connotati del vino valdostano considerato come totalmente assente o, nel migliore dei casi, ininfluente nel panorama enologico italiano.
Ma noi valdostani non ci scaldiamo troppo. Ci siamo abituati perché non è decisamente cosa recente. Già nel XVIII secolo scriveva il Zuccagni-Orlandini:“l’isolamento di questa valle dagli altri paesi del Piemonte, per l’alpestre sua posizione, che ne rende difficilissimi e per molti mesi impraticabili i varchi alpini, è cagione che ben poco si conosca il vero stato dell’industria dei suoi abitanti”. E sempre a tal proposito suonano ancora tristemente attuali le parole profferite, nel 1874, da un celebrato presbitero valdostano, l’Abbé Gorret: “quand donc ma chère vallée sera telle connue de ses voisins? Les Américains admirent la Vallée d’Aoste, les Anglais l’adorent, les Allemands la trouvent belle, les Russes s’y plaisent, les Suisses, qu’un instinct de concurrence pourrait pousser à la critique, la louent... et les Italiens, nos très superlatifs frères, ne nous connaissent pas et sont obligés d’aller pêcher des caricatures en croyant ainsi se faire une idée de notre pays, cela est certainement plus déshonorant pour eux que pour nous (23)”.
Ma di questo e di tanto altro ancora, se avrete la pazienza di leggermi, parleremo nei prossimi articoli con l’auspicio, citando il sommo “Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta” redatto nel 1836 dall’insuperato Dottor Lorenzo Francesco Gatta, “di alzare da un cantuccio il lembo del velo, con il quale è coperta questa meravigliosa convalle; di mostrare come sia qui molteplice la natura nelle sue produzioni”.
Un saluto a tutti e mi permetto molto umilmente, cari amici, di dispensarvi un ultimo, piccolo consiglio prima di lasciarvi… non vale adesso la pena di andare subito a cercare, e stappare, qualche bottiglia di vino valdostano? Non ve ne pentirete! Santé ed al prossimo articolo!
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RIFERIMENTI
1: La raccolta era stata abbondante.
2: Per pregarli di lasciar passare gli abitanti di Praborno, Zermatt, che volevano acquistare del vino valdostano.
3: Il vino che, fino ad allora, era venduto da 10 a 12 lire ogni 100 litri, fu venduto a 64 lire.
4: Domandò al Duca (N.d.R. al casato Savoia) il permesso di venderne ai Vallesani.
5: Maggiordomo reale e Intendente generale di casa Savoia.
6: Le buone bottiglie di Borgogna si vendono qui a sei soldi e mezzo.
7: Diversi viticoltori in tutto il Ducato d’Aosta lo producono... ma in piccole quantità considerata la difficoltà di avere luoghi atti a far stare queste uve al coperto adagiate su della paglia ad appassire per due mesi e da cui si devono togliere gli acini andati a male e secchi prima di pigiarli per poi conservarne il vino per cinque o sei anni, il che fa lievitare il prezzo dei migliori muscat a 28 o 30 soldi per bottiglia.
8: Precocità ed abbondanza dei raccolti.
9: Il vino della cometa.
10: L’anno della cometa una temperatura dolce e talvolta calda si annunciò dal mese di febbraio per poi mantenersi tale molto a lungo. Questa memorabile annata fu marcata dall’eccellenza delle qualità del vino, la cui raccolta fu molto precoce. Si parlò a lungo del vino della cometa.
11: Inverno assente, temperatura sempre dolce, mandorli fioriti a febbraio sulla collina di Aosta, raccolte abbondanti. Il curato di Valpelline ha annotato in un manoscritto che il 27 luglio si è bevuto a tavola del vino del vitigno Prié, raccolto a Valpelline lo stesso anno.
12: Annata eccellente.
13: Precocità ed abbondanza di raccolto.
14: Abbondanza.
15: Ci siamo sbagliati dicendo che questa annata è il doppio di quella dell’annata precedente: dobbiamo dire che è quasi il triplo.
16: Qualità soddisfacente.
17: Qualità generalmente buona in tutto il territorio regionale.
18: Qualità generalmente buona, tanto più migliore se si considera che la vendemmia si è potuta protrarre tardivamente poiché il clima è stato molto favorevole al perfezionamento dell’uva sino a metà ottobre.
19: La vendemmia è, per quantità, sotto la media… gli acino si accrebbero meravigliosamente ed arrivano pieni di succo all’epoca delle vendemmie le quali superarono ogni aspettativa. Il vino è molto colorato.
20: Molto soddisfacente tanto sul versante della quantità che su quello della qualità.
21: Qualità buona, migliore di quanto si osasse sperare con la peronospora. Per quanto attiene alla quantità è da marcare in nero sul carnet del vigneron.
22: Qualità del vino di molto superiore a quella dell’ultimo quinquennio, ma purtroppo la quantità è immensamente inferiore.
23: Quando dunque la mia cara valle sarà nota ai suoi vicini? Gli americani ammirano la Valle d'Aosta, gli inglesi la adorano, i tedeschi la trovano bella, i russi la apprezzano, gli svizzeri, che un istinto di competizione potrebbe portare alla critica, la lodano... e gli italiani, i nostri superlativissimi fratelli, non ci conoscono e sono obbligati ad andare a caccia di caricature credendo così di farsi un'idea del nostro paese, questo è sicuramente più disonorevole per loro che per noi.