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Vini Valle d'Aosta
Vitigni Autoctoni

Il più sconosciuto vitigno autoctono valdostano

Quinto appuntamento con Rudy Sandi che ci racconta la curiosa storia di un vitigno autoctono rimasto sconosciuto a molti, finché, sulla soglia dell'estinzione, non venne recuperato dall'Institut Agricole Régional.

Premessa

Cari amici avrete sicuramente letto, in questi giorni, dell’interessante iniziativa dell’Institut agricole di testare vitigni resistenti ossia incroci tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis. Tali nuovi vitigni hanno il pregio di richiedere poco o nulla trattamenti fitosanitari. Di contro, usando tali varietà, si perde il contatto con la storia enologica locale in quanto questi incroci risultano completamente déracinés dal contesto territoriale. Per chi come me è appassionato di storia della viticoltura locale e di valorizzazione dei vitigni autoctoni queste novità possono, pertanto, suonare preoccupanti ed ho molto apprezzato le parole di precauzione usate dallo IAR, per mezzo del suo direttore della sperimentazione Mauro Bassignana, che ne consiglia l’uso per le fasce di rispetto dei vigneti ossia le zone di vigna vicino alle abitazioni.

Io, citando il sommo Lorenzo Francesco Gatta, “cui povertà di mente, e difetto d’ozio niegano di entrare in più vasto campo, mi limito a trattare di un solo arbusto, la vite” ed  in particolare  a raccontare la storia della viticoltura valdostana ma nel mio seppur modesto ruolo ricordo che la storia è un valore aggiunto fondamentale per un prodotto che fa dello story telling il suo marchio distintivo in mezzo a mille prodotti alimentari anonimi e che ha più storia il più sconosciuto vitigno autoctono che il più conosciuto dei vitigni resistenti.

Amnesie viticole

Per dimostrarlo, cari amici, vi racconterò la lunga e curiosa storia del più sconosciuto vitigno autoctono valdostano. Trattasi dell’unico vitigno al mondo che potremmo mandare alla trasmissione "Chi l’ha visto?”. Le sue singolari vicissitudini potrebbero avere ispirato la storia dello smemorato di Collegno. Questo vitigno non si ricorda il suo vero nome da almeno 200 anni e, oramai, penso che non riuscirà più a ricordarselo… Questa varietà che chiameremo, per convenzione, “Inconnu” ossia sconosciuto, albergava anticamente soprattutto nelle vigne dell’Envers, in zona Charvensod-Gressan- Jovencan-Aymavilles dove, oltre a rappresentare una quota importante dei vitigni, costituiva l’orgoglio dei viticoltori locali dato il suo buon vino.

Se chiedevate ai vigneron di queste coste vitate come si chiamasse Inconnu, vi avrebbe risposto che non aveva un vero e proprio nome… che era un membro della famiglia degli “oriou” ossia dei vitigni autoctoni valdostani… e che era conosciuto con un nomignolo in vernacolo valdostano, un soprannome, che descriveva una peculiare caratteristica di “Inconnu”: i suoi tralci molto chiari da cui il neologismo “Brot blanc” (tralcio bianco in patois). A complicare le cose i pochissimi che avevano qualche “Inconnu” nelle vigne di Sarre, Arvier ed Avise oltre che in bassa valle tra Arnad e Montjovet lo chiamavano, invece, con nomi completamente diversi: “Corgnoula”/”Corniola”. Se non bastasse quanto sopra a confondere le idee, “Inconnu” fu importato nella vicina svizzera vallese dalla Vallée probabilmente durante il XX secolo. E anche lì, per una perversa congiura cosmica, questo autentico smemorato di Collegno aveva perso il suo antico nome! Siccome in zona prosperava un vitigno locale chiamato “Humagne blanc” che tanto gli assomigliava seppur fosse a bacca bianca, gli amici vallesani svizzeri non fecero altro che ribattezzarlo molto pragmaticamente “Humagne rouge” e così è colà conosciuto da sempre nel caso voleste comprarvi una bottiglia di Inconnu in Svizzera.

Pensate siano finiti i nomi attribuiti a Inconnu? Negli anni 70 prima che le analisi del DNA sancissero la corrispondenza tra Brot blanc, Humagne rouge e Corgnoula, il ricercatore vallesano Jean Nicollier, capofila delle ricerche sui vitigni autoctoni locali, indagò sulle origini di Inconnu e sapendolo provenire probabilmente dalla Valle d’Aosta ebbe a disposizione un’opportunità unica e irripetibile per la sua identificazione.
Nel 1836, l’eminentissimo studioso Lorenzo Francesco Gatta aveva elencato minuziosamente nel suo fondamentale “Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta”, tutti ma proprio tutti i vitigni valdostani in tutte le loro caratteristiche ampelografiche (attributi di tralci, foglie e grappoli). Quest’immane opera di risonanza internazionale presentò il primo metodo al mondo per riconoscere ogni varietà di vitigni dalle altre. Consultando probabilmente di fretta tale saggio, il Nicollier riconobbe (erroneamente come vedremo in seguito) l'Humagne rouge nel Petit rouge. E sempre Petit Rouge era il nome con cui anche qualche vigneron valdostano chiamava Inconnu. Per ricapitolare, a questo punto della storia il nostro Inconnu era già stato ribattezzato quattro volte in tempi, luoghi, lingue e persone diverse come Brot blanc, Corgnoula, Humagne rouge e, per non farsi mancare proprio niente, Petit rouge!

Dovete sapere che il nostro “Inconnu” arrivò alle soglie dell’estinzione ma, meritoriamente, venne recuperato dallo IAR tra gli anni 80/90 perché dava un buon vino. Divenne, pertanto, necessario cercare il suo vero nome onde registrarlo al catalogo nazionale delle varietà di viti, passaggio inderogabile per poterlo identificare come varietà a sé stante e produrre vino in purezza. I ricercatori dello IAR,  capofilati dal valentissimo enobiologo Giulio Moriondo, si fecero guidare come Nicollier dal Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta per la sua identificazione giungendo, però, ad un bivio: Inconnu assomigliava moltissimo non ad uno ma, bensì, a due diversi presunti vitigni descritti dal Gatta e da lui denominati “Corniola” e “Cornalin”.  Dopo anni di continue, minuziose e faticosissime ricerche percorrendo i più antichi e remoti vigneti di tutta la valle, Moriondo non aveva però trovato traccia alcuna di due vitigni diversi geneticamente ma ampelograficamente simili fra di loro per come Cornalin e Corniola venivano descritti dal Gatta.

Cinquanta sfumature di Cornalin

Le caratteristiche descritte nel Saggio si ritrovavano sempre, solo ed unicamente nel nostro Inconnu variamente denominato Humagne rouge, Brot Blanc e Corgnoula. Oltretutto Inconnu in queste sue tre diverse denominazioni, si era evoluto in aree diverse, sviluppando sensibili differenze morfologiche, produttive e qualitative tali da poter definire Humagne rouge, Brot Blanc e Corgnoula biotipi diversi dello stesso vitigno ed inducendo in osservatori poco esperti il dubbio che fossero vitigni diversi. Il DNA di Inconnu era risultato, oltretutto, diverso dal quello del Petit rouge a smentire l’ipotesi di Nicollier che Humagne e Petit rouge fossero lo stesso vitigno. Nell’evidenza che malgrado le attente e vaste ricerche non si reperivano altri vitigni simili a Inconnu ma con DNA diverso, a Giulio non restò che formulare l’ipotesi all’epoca scientificamente più accreditata (Moriondo; 1999): considerato che il Brot blanc, lo Humagne rouge e la Corniola erano tre diversi biotipi dello stesso vitigno Inconnu, probabilmente allo stesso modo anche il Cornalin e la Corniola descritti dal Gatta erano biotipi diversi di quello che era geneticamente lo stesso vitigno. Si trattava a questo punto solo di scegliere con che nome battezzare Inconnu scegliendo tra Corniola e Cornalin. Le ragioni certe, complice il mio alzheimer, non le ricordo più ma se mi sovvengo correttamente, considerato che il reale nome di Inconnu permaneva incerto e considerato che il nome francese “Cornalin” suonava decisamente meglio di Corniola oltre ad evocare quello di vitigni locali come il Fumin, alla fine Inconnu fu ribattezzato “Cornalin”.  E fu così che Inconnu già Brot Blanc, già Corgnoula/Corniola, già Humagne rouge, già Petit rouge assurse finalmente al nome di ”Cornalin” sulle etichette di vino.

Ma cari amici dubitate davvero che l'ormai epica saga di Inconnu sia realmente finita? Che il caso sia felicemente risolto e che finalmente abbia un nome ed un’identità tutti suoi? Ma evidentemente no! Dovete sapere che gli svizzeri ospitano nelle loro vigne un pregiatissimo vitigno orgoglio di tutti i viticoltori locali per la qualità del suo vino. Anche questo vitigno, esattamente come il nostro Inconnu, si era scordato il suo vero nome … ed esattamente come Inconnu veniva identificato con nomi alquanto riduttivi: “Rouge du Valais” e “Rouge du pays”… termini decisamente anonimi e, ancor più, indiscutibilmente bruttini per cui gli amici svizzeri vallesani, capofilati dal solito Nicollier, andarono, negli anni 70 del novecento, a caccia di nomi più altisonanti. Nicollier, leggendo il saggio del Gatta, si era imbattuto nel termine "Cornalin" che tanto gli piacque da volerlo prendere a prestito per ribattezzare il Rouge du pays.  All’epoca il recupero in Valle del Cornalin non era ancora iniziato e Nicollier non pensava certo di fare danno alcuno.

E fu così che il nostro Inconnu già Brot Blanc, già Corgnoula/Corniola, già Humagne rouge, già Petit rouge divenne ufficialmente, come già detto, “Cornalin” sulle etichette di vino ma dovendo però, ennesima beffa, condividere lo stesso nome con un vitigno vallesano!  

 

Il giallo si infittisce

Qualcuno, oramai esausto, a questo punto mi supplicherà… ma la finiamo sì o no? Non se ne può più! Vi supplico di pazientare… Dovete sapere che un famoso genetista svizzero, José Vouillamoz, dopo che Inconnu valdostano e Rouge du pays furono ribattezzati “Cornalin”, condusse complesse analisi genetiche su entrambi i vitigni. Il risultato ci fa arrivare al prossimo colpo di scena: il Cornalin vallesano, già Rouge du pays e già Rouge du Valais, risultò essere geneticamente figlio del Petit rouge e del Mayolet e, ancor più clamoroso, genitore di Inconnu! Il Cornalin (valdostano) era, quindi, figlio del Cornalin (vallesano) in un tripudio di omonimie e sinonimie ed oltretutto i due vitigni si somigliavano. Finita? Naturalmente no!

Facciamo un passo indietro per fornirvi qualche indizio per la risoluzione del caso… i nostri ricercatori avevano assunto che Cornalin e Corniola corrispondessero al medesimo vitigno in quanto era stata trovata una sola varietà di vitigno autoctono che corrispondeva alla descrizione fatta dal Gatta. In seguito, però, in Svizzera come abbiamo visto si scopre un secondo vitigno di DNA valdostano che presenta una somiglianza con Inconnu (essendone il padre) e che potrebbe pertanto corrispondere alla descrizione fatta dal Gatta del Cornalin o della Corniola…

Vi lascio in sospeso a riflettere ed a respirare per spostarmi a Cogne dove, nel corso di una recente e piacevole serata, Giulio Moriondo che già conoscete, massimo esperto di vitigni autoctoni valdostani nonché valente produttore di vino, ci ha allietati con una sua autentica “lectio magistralis” sul nostro Inconnu oltre che su altre varietà locali ( vi consiglio, tra l’altro, di leggere il suo “storia del cornalin” in “viticoltura di montagna” n.13-2001).  Dopo averci riassunto gran parte della storia che avete appena letto, Moriondo ci ha fornito puntualmente tutti gli indizi storici necessari a farci giungere alla conclusione che Inconnu ora Cornalin potrebbe corrispondere ad un altro vitigno (pur sottacendone precauzionalmente il nome). Spero di avere correttamente interpretato il pensiero e gli indizi forniti da Giulio affermando che è possibile che Inconnu, ora Cornalin, corrisponda, invece, al vitigno che il Gatta chiamava Corniola (non a caso in bassa valle era conosciuto con quel nome!) aprendo la porta anche alla possibilità che il vitigno chiamato casualmente Cornalin in Svizzera corrisponda al vitigno chiamato Cornalin dal Gatta!

Inconnu, vitigno smemorato che non ricorda il suo vero nome, potrebbe quindi avere avuto ben sei nomi diversi: Brot blanc, Corgnoula, Humagne rouge, Cornalin, Petit rouge e, magari, pure Corniola. Ma pensate realmente che se Inconnu ora Cornalin fosse per l’ennesima volta ribattezzato in “Corniola” vedrebbe risolto ogni suo problema identitario senza più tema di smentita? Assolutamente no! Perché anticamente in Vallée era invalsa l’opinione che anche il nome originario della Corniola fosse andato anticamente perso! Narra il Gatta a proposito della Corniola: “È opinione che la corniola sia stata portata dal Barone di Ciamporcero verso il 1750 dalla Borgogna, e che siasi poscia diffusa. Corniola è un corrotto di colignola, nome della regione, ove fu dapprima piantata: essa pare la vitis acino nigro, rotundo, duriusculo, succo nigro labia efficienti di Garidel, che dicesi indistintamente dai Borgognoni Pineau, Maurillon, teinturier”.

Per non farsi mancare niente Louis Napoléon Bich, esimio agronomo ottocentesco, supponeva che l’origine della Corniola fosse invece siciliana mentre l’ampelografo francese Berget identificava la sua terra d’origine in Piemonte!

Epilogo psicoviticolo.

Cari amici, credo vi sia oramai chiaro che Inconnu sia un vitigno che non  può pretendere di essere studiato da un ampelografo (colui che studia ed indentifica le varietà di vite) ma da uno psicologo specializzato in personalità multiple schizofreniche considerato che Inconnu, nel corso della sua lunga storia, si è permanentemente celato sotto continue mentite spoglie facendosi chiamare alternativamente in luoghi, tempi, lingue e da persone diverse Corgnoula/Corniola, Cornalin, Brot blanc, Humagne rouge, Petit rouge, vitis acino nigro, rotundo, duriusculo, succo nigro labia, Pineau, Maurillon e Teinturier oltre ad un presunto ma improbabile nome borgognone andato perso! Per quanto riguarda poi la sua terra d’origine si è fatto il giro del vecchio mondo ipotizzando alternativamente Valle d’Aosta, Borgogna, Sicilia e Piemonte! Consiglio vivamente a tutti i miei lettori di lenire il profondo stato confusionale generato dal mio contorto racconto sulla sua identità andando a comprare una bottiglia di Inconnu. Mi raccomando però! limitatevi a chiedere “per convenzione” all’enotecario una bottiglia di “Cornalin” senza aggiungere la succitata lista onde evitare di essere immediatamente internati in strutture ospedaliere poco adatte alla degustazione di vino…

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Aosta 7 settembre 2023
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